Arbiter - Un mondo di cravatte

Sono cliente di Ulturale dal 2008, un periodo lungo nel quale ho imparato a conoscerne e apprezzarne i prodotti. Credo che la cravatta, nonostante tutto, abbia un futuro, specie se guardiamo alle nuove generazioni e ai Paesi in cui non veniva granché considerata e adesso, invece, si porta volentieri».

Parte da qui la riflessione di Pierfrancesco Barletta sul futuro del marchio di cravatteria di cui è neopresidente, avendolo acquisito a settembre insieme con il socio Raphael Caporali, ora amministratore delegato. In un arco di tempo relativamente breve, la griffe ha saputo unire tradizione e radicamento nell'hic et nunc, conciliando i codici sartoriali partenopei e un twist moderno giocato su estrosità, inventiva e una sana dose di ironia, guadagnandosi il favore degli intenditori.

Un po' di storia: l'azienda nasce nel 2004 per volontà di Vincenzo Ulturale, che decide di istituzionalizzare una passione che lo aveva portato prima ad affiancare i genitori nella sartoria di fa-miglia, attiva nel capoluogo campano dal 1948, poi a mettersi in proprio negli anni 80, concentrandosi appunto sulle cravatte, tagliate, cucite e rifinite manualmente; quindi ad avviare, col supporto di tre amici imprenditori, il brand che porta il suo cognome, subito «battezzato» da un'intuizione che si sarebbe rivelata il pièce de résistance della linea. Assecondando l'atavico penchant per le superstizioni dei concittadini (e non solo, ché va bene, saranno quisquilie, però «non si sa mai»), il fondatore inizia infatti a nascondere tra i lembi del tessuto un cornetto, oggetto propiziatorio per antonomasia, realizzato in corallo mediterraneo e argento. Denominata Tie', con un calembour che rimanda al corrispettivo inglese («tie») del termine, la cravatta munita di portafortuna diventa un marchio di fabbrica, alimentando il passaparola tra una platea via via più nutrita di appassionati, ammaliati dalla varietà di modelli (ci sono fantasie regimental, a pois, pied-de-poule, con pattern geometrici o floreali...), confezionati a mano nei migliori tessuti italiani e inglesi, seta jacquard in primis, e poi cachemire, lino, misto lana e seta.
Sono i dettagli, come sempre, a fare la differenza, rendendo ogni capo un distillato di perizia artigiana: si possono citare, fra i tan-ti, il punto di chiusura posizionato più in alto di quanto prescrive la norma; l'interno di sole fibre naturali; il taglio eseguito a 45 gradi rispetto alla cimosa, che richiede un uso maggiore di filato ma previene sgradevoli torsioni. Ulturale riserva massima attenzione a quest'ultimo passaggio, che dev'essere ineccepibile, preciso al millimetro. Barletta, giustamente, rimarca il ruolo insostituibile della famiglia: «Vincenzo e la figlia Martina sono fondamentali, rappresentano il cuore pulsante dell'impresa. Pur essendo usciti dalla compagine societaria resteranno coinvolti appieno: sono loro, per esempio, a scegliere le singole stoffe. Da parte nostra, daremo un contributo all'internazionalizzazione del marchio, alla definizione di una strategia ottimale per raccontarlo».

Racconto che passa anzitutto da un'idea che non riguarda il menswear in senso stretto ma che intende «trasformare Ulturale in un club che riunisca clienti ed estimatori, un luogo che metta insieme moda e cultura, dando la possibilità a chi vorrà associarsi di partecipare a eventi che vadano oltre il lifestyle, sviluppandosi come momenti di riflessione culturale».
Il traguardo, dichiarato, è «portare Ulturale a conquistare selezionati mercati internazionali», facendone «uno dei simboli globali del made in Italy d'alta gamma». Tra i mercati di riferimento, anche in ottica futura, «Europa, Stati Uniti, parte dell'Africa e l'Asia, regione strategica, dove le donne dell'upper class indossano convintamente le cravatte, e noi abbiamo da tempo una proposta dedicata. Non si può parlare, a riguardo, di status symbol esclusivamente maschile». Già, lo status: il posto d'onore nell'immaginario estetico della cravatta, vessillo di eleganza e bien vivre, è insidiato come mai prima d'ora, tra casualizzazione del guardaroba, dress code annacquati se non cassati, strascichi della rilassatezza (eufemismo) vestimentaria dell'era covid.

Eppure Barletta è convinto che «nel prossimo futuro si assisterà a una controtendenza, per questo investiamo in un prodotto "nuovo", ancorato alla tradizione ma apprezzabile anche dalle nuove generazioni, spostandoci dalla dimensione dell'obbligo a quella del piacere». Se avvolgere un nastro di tessuto al collo della camicia dev'essere percepito come un atto espressivo, un manifesto di stile eminentemente personale, bisogna tuttavia «rispondere ai gusti e alle esigenze di un pubblico altro, perciò abbiamo iniziato a realizzare cravatte dalle dimensioni contenute per i più giovani». Oltre al classico Sette Pieghe, evergreen proposto in molteplici varianti, ecco allora modelli Tre Pieghe, Tol (acronimo di Three One Less, dalla terza piega aperta e sagomata, impreziosito da un bottone in argento e cameo o da pietre sul codino) e 00 Tie', con rametto di corallo inserito in un asola e taschino segreto.

Nelle tre boutique Ulturale di Napoli, Roma e Milano, inoltre, trovano posto maglieria, guanti, pochette, sciarpe, foulard e altri tessili «di fattura artigianale, parte della tradizione cittadina ma apprezzati in maniera trasversale in tutto il mondo». A proposito di napoletanità, ubi consistam della Casa, il presidente ribadisce che rimarrà un perno dell'azienda, anzi, verrà rafforzata attraverso progetti quali «l'edizione speciale di mille cravatte che presenteremo per Natale, con cornetti creati da Marco Ferrigno, maestro artigiano dei presepi, autore di manufatti favolosi». L'oro di Napoli, a ben vedere, si nasconde tra le pieghe di cravatte a prova di jella, pronte a sfidare la malasorte a ogni latitudine.
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